Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/586


271.Ma su la vetta intanto ecco ha veduta
la fiaccola d’Amor, ch’a sé l’invita:
onde rinfranca la virtú perduta,
e nel rischio mortai la rende ardita.
In lei ferma lo sguardo, e la saluta,
come nunzia fedel de la sua vita,
e contemplando quella fiamma aurata,
cosí scioglie la lingua innamorata:

272.«Ecco ne vegno, o luminosa, o fida
scorta a’ miei dolci errori, ecco ne vegno.
Non piú temo il furor d’Euro omicida,
non piú del crudo mar curo lo sdegno.
Tu sol per queste tenebre mi guida,
mentre m’appresto ad ubbidire al segno,
se ben mi favoreggia e mi conduce
altra stella, altra lampa, ed altra luce.

273.Ancor ch’io per la tua lucida traccia
segua quel Sol, che solo è mio conforto,
son dal lume però de la sua faccia,
piú che dal tuo splendor, per l’ombre scòrto.
Gli occhi suoi sono il polo, e le sue braccia
sono il mio dolce e desiato porto.
Arianna, Calisto, Helice, Arturo
non rischiarano tanto il cielo oscuro.

274.Non vanti no l’ambizioso Egitto
il suo lucente e celebrato Faro,
ch’assai piú da naufagio il core afflitto
assecura quel raggio ardente e chiaro.
E quantunque talor ne sia trafitto,
il languir m’è soave, il duol m’è caro.
Sarei con esso di passar ardito
l’onda di Flegetonte, e di Cocito».