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251.Lavaro col licor gelido e molle
il freddo corpo le sorelle meste.
Rifiutò ’l peso il genitor, né volle
tra le sue ricettarlo onde funeste;
ma poi che vide alfine il garzon folle
da forza oppresso di destin celeste,
Io strinse in braccio, e con amaro lutto
cangiò Calamo in canna, e Carpo in frutto.

252.Or passar in silenzio io deggio forse
di Leandro infelice il caso mesto,
lo qual tanta pietate a Tonde porse
che ne piangono ancora Abido e Sesto?
Spettacol mai piú crudo il Ciel non scorse,
torto il mar non fe’ mai maggior di questo;
e ben ch’esser pietoso il mar non soglia,
l’uccise nondimen contro sua voglia.

253.Giá di quel foco il Garzonetto acceso
che la face d’Amor gli sparse in seno,
avea piú giorni impaziente atteso
e l’ingordo desio tenuto a freno,
tra lunghe cure ad aspettar sospeso,
che fusse il mar tranquillo, il ciel sereno,
per poter senza intoppo e senza impaccio
ricondursi nuotando ad Hero in braccio.

254.Ai suoi fervidi ardori erano d’Hero
le bellezze oltrabelle ésca soave,
onde spesso solca pronto e leggiero,
fatto a se stesso e navigante e nave,
l’angustie attraversar di quel sentiero,
che tra l’Asia e l’Europa è porta e chiave,
e la sua Donna a riveder veniva
sconosciuto e notturno a l’altra riva.