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215.Almen non fia che strale in me piú scocchi
Amor, né ch’io m’affisi in altri rai,
si ch’acceso il mio cor da sí begli occhi,
di bellezza minor non arda mai.
Anzi se i miei pensier non eran sciocchi,
10 stesso il primo dí che ti mirai,
ammorzar mi devea questa facella
per giá mai non mirar cosa men bella».

216.Tutti questi discorsi a Tonde, ai venti
sparge il meschino, e l’ode il vento e Tonda,
né v’ha chi per la spiaggia i mesti accenti
(salvo Ceíce ed Alclon) risponda.
Alfin nel fiero cor dopo i lamenti
Tira e ’l dispetto oltremisura abonda.
Vuol uccider se stesso, o ne l’aperta
gola del mar precipitar da l’erta.

217.La numerosa fistula, ch’aggrava
11 rozo fianco, ad ambe mani afferra,
ed ogni canna sua forata e cava
spezza col dente, e poi la scaglia a terra.
Il nodoso troncon, l’immensa clava,
che fece a mille fere oltraggio e guerra,
gitta lontano, e con le note estreme
in questa guisa si lamenta e geme:

218.«Fido baston, giá mio compagno antico,
che mi fosti gran tempo arme e sostegno,
rimanti in pace in questo lido aprico
or ch’io peggio che morto, orbo divegno.
Forse ad uso miglior destino amico
ti serba, e vólto in remo, o in curvo legno,
solcando i campi del gran padre mio
godrai tu la beltá, che non god’io.