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195.Miser, dunque a ragion m’offusco e caggio,
e cosí va chi sovra sé presume.
Cadde (com’odo) il giovane mal saggio
che troppo alzò le temerarie piume.
Cadde chi per lo torto alto viaggio
vòls’esser duce del paterno lume.
E quest’altier, ch’ai gran Motor fe’ guerra,
qui fulminato ancor giace sotterra.

196.Anco il Teban, ch’ambí d’esser eletto
Giudice degli Dei, cieco divenne.
Ed io, ch’a piú bel Sol con stolto affetto
de l’audace pensier spiegai le penne,
non mi dorrò, se si sfrenato oggetto
la mia debile vasta non sostenne.
Confesso de le tenebre il martire
esser picciola pena a tanto ardire.

197.S’aggiunse ancora a questo lampo ardente,
dura cagion ch’abbaccinai la vista,
de’ larghi pianti miei l’onda corrente
che versa tuttavia l’anima trista.
E qual potenzia mai fia sí possente?
qual cerviera virtú fia che resista,
quando insieme accoppiandosi in eccesso
han gli ardori e gli umori un varco istesso!

198.A questa grave e memorabil piaga
medicina non vai, cura non giova,
né d’erba per guarirla o d’arte maga
virtú (ch’io creda) in terra oggi si trova.
Tu, che m’apristi il cor, Ninfa mia vaga,
tu che ferisci e che risani a prova,
render a l’occhio mio la luce puoi
con una sola lagrima de’ tuoi.

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