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183.Detto questo il feroce, invèr la costa
de la montagna ripida e sublime,
ch’ai figlio di Titan giá sovraposta
del rubello del Ciel le terga opprime,
il passo move, e tacito s’accosta
a le piú rotte e dirupate cime.
Quivi sovra un scheggion de la pendice
stanco s’asside, e tra sé pensa e dice:

184.«Villano Cavalier, che con mentita
spoglia molto conforme al tuo timore
la fronte mia con la crudel ferita
senza luce lasciasti, e senza onore,
deh perché con la vista ancor la vita
non mi togliesti, e in un con l’occhio il core,
se con gli occhi del cor, di vista privo
veggio i miei danni, e non ho vita e vivo?

185.Io vivo, io veggio, e del mio strazio crudo
l’aspra cagion m’è piú che mai presente,
e mentre un occhio solo in fronte io chiudo,
mille un cauto pensier me n’apre in mente,
ch’altro di Galathea novello drudo
seco veder mi fa visibilmente.
11 vegg’io ben, se ben nottula, e peggio,
fuor che ’l vedermi cieco, altro non veggio.

186.Amor Nume possente, Amor Tiranno
per aggravar de’ miei martír la salma,
quando di me con arte e con inganno
l’assassin scelerato ebbe la palma,
pur come ristorar volesse il danno
de l’acciecato corpo a l’afflitt’alma,
per duol maggior, non per pietá che n’ebbe,
la vista raddoppiò, la luce accrebbe.