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155.Ricerca il feritor, né sa, né vede
dove, né come al suo furor si fura.
A l’avanzo de’ miseri ne chiede
che tien sepolti entro la grotta oscura,
ma la voce tremante indietro riede
ed è tolta a ciascun da la paura.
Il tuon del grido, il picchio de la clava
tutta fa risentir l’ombrosa cava.

156.Aprendo l’uscio alfín del cavo speco,
si terge il sangue, onde la fronte è sozza,
e quando al chiaro Sol si trova cieco
molti di quella turba uccide e strozza.
Smembra i compagni del facondo Greco,
come Leon faria Lepre o Camozza.
Parte al sasso n’aventa, e non indugia,
ch’un ne sbrana, un ne scanna, un ne trangugia.

157.Perduto il dí, ch’a lui per sempre annotta,
battesi ad ambe man l’estinto lume,
e da la piaga de la fronte rotta
fa di sangue sgorgar torbido fiume.
Fuor de le labra per l’opaca grotta
stilla bave sanguigne, e nere schiume,
e nel fango del suolo e ne la polve
se stesso immerge e bruttamente involve.

158.Del crin, che rabbuffato e non tonduto
con lunghe ciocche in su le spalle pende,
del mento inculto, squallido e barbuto,
da cui ben folto il pelo al petto scende,
del petto istesso, il cui pelame irsuto
rigido tutto e setoloso il rende,
gli aghi pungenti e l’irte lane e grosse
per ira e per dolor si straccia a scosse.