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151.Quando del colpo iniquo ed inumano
gonfiando insuperbito i suoi furori,
d’aver morto il rivai di propria mano
vantava seco i trionfali onori
e credea follemente il mostro insano
de la Ninfa gentil goder gli amori,
permise il Ciel che di lontan venisse
ad ingannarlo, ad acciecarlo Ulisse.

152.Giacea (sí come sempre avea per uso)
in fondo a l’antro suo scabroso e vecchio.
Aveagli il vel de la gran luce chiuso
un grave oblio da l’un a l’altro orecchio,
quando tra ’l vino e ’l sonno ebro e confuso,
il terso de la fronte unico specchio
con doglia incomparabile repente
fuor del concavo suo sveller si sente.

153.Non farian tal romor l’eterne rote
se cadesse del Ciel l’immensa mole,
o fusse pur, sí come esser non potè,
da l’epiciclo suo schiantato il Sole,
con quale strido e strepito si scote,
con qual furia il crudel s’arrabbia e dole,
mentr’il Guerrier nel ciglio il pai gli ficca,
e ’n su ’l bel del dormir l’occhio ne spicca.

154.Quasi fin nel cervel la rigid’asta
de l’acuto tizzon dentro gli caccia,
e de la gemma sua vivace e vasta
impoverisce la terribil faccia.
Quei con la fronte sanguinosa e guasta
pasimando distende ambe le braccia,
poi si leva, e tenton va con la mano,
ma l’aria stringe, e lui ricerca invano.