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55.Ma visto il tempo acconcio a la vendetta,
cangia in soffio crudel l’aura soave,
sí che di lá, dove la mano il getta,
torce a forza e distorna il bronzo grave,
e piú leggier che fulmine o saetta,
ch’alcun riparo a l’impeto non have,
con tanta furia per traverso il lancia,
che va dritto a ferirlo in su la guancia.

56.Sovra la manca guancia, ove tremante
palpita il polso entro la tempia cava,
il globo impetuoso e fulminante
percosse la beltá ch’io tanto amava.
Cade a lo sconcio colpo, e ’l bel sembiante
scolora, e sozzamente il macchia e lava,
perché tosto ne spiccia in su l’arena
di tepid’ostro una vermiglia vena.

57.Qual papavere suol da falce o vento
tronco il gambo languir pallido e chino,
tal era a punto; il solito ornamento
sparia dal volto, e lo splendor divino.
Moria nel labro il bacio, e giacea spento
in sepolcro di squallido rubino.
Gli occhi, giá de le Grazie alberghi fidi,
rimanean cave fosse, e voti nidi.

58.Tosto che quel bel viso io vidi tinto
del sangue (oimè) de la crudel ferita,
corsi a recarmi in braccio il mio Giacinto,
per dar con erbe a la gran piaga aita.
Ma poi ch’ogni opra allín nel corpo estinto
fu vana a richiamar l’alma fuggita,
piansi cosí, che de le stelle il Duce
parea fonte di pianto, e non di luce.