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167.Ma pria che gli occhi addolorati e mesti
chiuda a quel Sol, che ’n forte punto io vidi,
vo’ che l’ultimo dono almen ti resti,
gli altri cani ti lascio amati e fidi.
Altro or non ho, che questi crini: e questi,
prègoti, accetta e di tua man recidi,
e sèrbagli per lui, che ’l cor ti diede,
reliquie di dolor, pegni di fede.

168.Tu, se vivrá l’atnor dopo la vita,
cura che le mie spoglie altri non tocchi,
e che vii mano in alcun tempo ardita
arco de’ miei non tenda, o strai non scocchi. —
Oui gli manca la voce indebolita,
e di grave caligine i begli occhi
opprime si, ch’aprir piú non si ponno,
de la notte fatai l’ultimo sonno.

169.Su ’l bel ferito la pietosa amante
altrui compiange e se medesma strugge,
e sparge (lassa lei) lagrime tante,
e con tanti sospir l’abbraccia e sugge,
che par giá d’or in or l’alma anelante
voglia fuggir dove l’altr’alma fugge.
In cotal guisa a l’implacabil pena,
mentre cerca alleggiarla, accresce lena.

170.Fur viste arboreggiar l’erbe minute
intorno a quel cadavere gentile,
perché vòlse di lor cosí cresciute
fargli la bara ambizioso Aprile.
Fama è che l’aspre querce e Felci irsute
incurvaro le braccia in atto umile,
dov’ei spirava ancor tra i funerali
spirti amorosi almen, se non vitali.