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151.De’ begli occhi sereni il puro raggio
folto nembo di lagrime coverse.
Oh qual onta a le guance, oh qual oltraggio
fece a le chiome innanellate e terse!
Straccione, e del bel viso il vivo Maggio
di vivo sangue ed immortale asperse,
ed ai caldi sospir lentando il freno
con man s’offese ingiuriosa il seno.

152.Tosto si gitta in su ’l bel corpo, e come
forsennata e baccante, il grido scioglie:
gli dislaccia la veste, il chiama a nome,
gli ricerca la piaga e ’n braccio il toglie.
Poi le sanguigne e polverose chiome
con gli occhi lava, e con le man raccoglie,
e del costato i tepidi rubini
terge con l’ór de’ dissipati crini.

153.La bella man, ch’abbandonata e stanca
rade il suol con le dita, e i nodi allenta,
dentro la neve tepidetta e bianca
de l’una e l’altra sua stringe e fomenta,
e ’n lei quel moto e quel calor, che manca,
di svegliar, d’aiutar s’ingegna e tenta.
Su lo smorto Garzon s’inchina e piega,
lo scote, il preme, e di parole il prega.

154.L’un con muto parlar pietá chiedea
profondissimamente sospirando.
L’altra con gli occhi pur gli rispondea
amarissimamente lagrimando.
— Oimè, che veggio? è questi Adon? — dicea.
Chi ti feri? come t’avenne? e quando?
Chi fu, Nèttare mio? chi fu il crudele,
che le dolcezze tue sparse di fiele?