Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/487


147.Ma che gli valse oimè? non può celarsi
da maligno livor somma beltate.
Or d’ogni vostro ben superbi e scarsi
trionfando di me, lassú regnate! —
Poi ch’ella ha questi detti a l’aria sparsi,
per le piagge del Ciel fresche e rosate
portata da la gemina Colomba
velocissimamente a terra piomba.

148.Hecuba con tal rabbia in Troia forse
n’andò latrando infuriata e folle
quando lasciar la bella figlia scorse
il greco aitar del proprio sangue molle.
E tal mi credo in Babilonia corse
la Donna che regnar per fraude volle,
con una treccia sciolta, e l’altra avinta,
con una poppa avolta, e l’altra scinta.

149.Da lunge udí del Giovane meschino
e de le Ninfe la pietosa voce,
e col timon precipitoso e chino
gli augei corsieri accelerò veloce.
Ma quando a rimirar vien da vicino
l’opra spietata del Cinghiai feroce,
colá si lancia, ed incomposta e scalza
da l’aureo carro in su la riva sbalza.

150.Salta da l’aria, e vede apertamente
Adone a duro termine condotto.
Vede da la lunata arme pungente
il vago fianco fulminato e rotto,
e ’l bel collo su gli omeri cadente,
e la bocca, che langue, e non fa motto:
e ’n veggendo serrar luci sí vaghe
sente aprirsi nel cor profonde piaghe.

31