Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/458


31.Quella destra immortale è forse stanca,
per cui sol treman Rhodope e Pangeo?
È forse rotta quella spada franca,
che giá percosse Encelado e Tifeo?
No no, l’usata forza in te non manca,
péra dunque il donzel perfido e reo;
e ben che sia di divin ferro indegno,
fa’ che col sangue suo spenga il tuo sdegno. —

32.Cosí doleasi il Cavalier del Cielo,
trafitto il cor dal dispietato aviso,
e vie piú fredde del notturno gelo
eran le brine onde bagnava il viso;
quando colei ch’è reverita in Deio
affaccioglisi innanzi a l’improviso,
e degli uditi gemiti feroci
ruppe nel mezo le crucciose voci.

33.— Che vai — gli disse —, il tuo tormento ignoto
a quest’ombre narrando orride e nere,
senz’alcun prò del bosco ermo e remoto
assordar l’aure, e risvegliar le fere?
Altri gioisce, e tu qui bravi a vóto,
altri i riposi tuoi stassi a godere,
e tu minacci, e col tuo van lamento
tagli gran colpi a l’aria, e sfidi il vento.

34.Sembri, schermendo la sprezzata spada,
Tigre che dietro al Cacciator s’affretta,
ma trattiene il suo corso a meza strada
su ’l bel cristal, ch’a vaneggiar l’alletta,
e mentre sta pur neghittosa a bada,
perde la prole insieme, e la vendetta,
quando volar devrebbe, e con gli artigli
toglier la vita a chi le tolse i figli.