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CANTO DECIMOSETTIMO

Or poi c’ha tutt’in punto arnesi e vesti,
al bel viaggio indirizzando vassi,
e ne l’uscir co’ vaghi occhi celesti
innamora gli sterpi, infiamma i sassi.

Move i sembianti Amor, lascivia i gesti,
grazia le piante, e maéstate i passi.

Cosí pian pian si parte, e s’incamina
con Adon lagrimoso a la marina.

A pena giunta in su la verde riva,
fa per invidia dileguar le stelle.

Cedon gli orrori a quella luce viva,
fuggon le nebbie, e fuggon le procelle.

Il Ciel sorrise, e ’l Sol, ch’allora usciva,
si specchiò ne le luci ardenti e belle;
onde parea con gemino splendore
che duo fussero i Soli, e due l’Aurore.

Come l’augel che le sue spoglie inferme
dentro rogo odorifero consuma,
poi che ’l risorto e giovinetto verme
ha rivestito di novella piuma,
prodigioso e redivivo germe,
di purpureo splendor l’Egitto alluma,
e ritornando invèr le patrie piagge
lunga striscia d’augei dietro si tragge:

cosí dovunque il piede o l’occhio gira,
rendendo il suol fiorito, il ciel sereno,
mille Amori la Dea seco si tira,
qual sotto il lembo, e qual le vola in seno,
e l’aere, ov’ella ride, ond’ella spira,
d’anime tutto amorosette è pieno,
ch’ai vivo raggio, ond’è piú chiaro il giorno,
sí com’atomi al Sol, scherzano intorno.