Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/39


115.Quand’ella gli occhi in que’ begli occhi affisa,
che fan la Dea d’Amor d’amor languire,
si sente il cor subitamente in guisa
tutto d’alta dolcezza intenerire,
che stupida, e da sé quasi divisa,
piú oltre di parlar non prende ardire;
ma poi ch’alfin dal suo stupor si scote,
accompagna un sorriso a queste note:

116.— De la preda il trofeo (non so se ’l sai)
è del buon Cacciator la cura prima.
Vie piú l’onor, vie piú ’l diletto assai
d’una rustica spoglia ei pregia e stima,
che qualunqu’altro ben possa giá mai
d’ogni eccelsa grandezza alzarlo in cima.
De la caccia però, ch’oggi qui vedi,
l’importanza è maggior che tu non credi.

117.Questa, il cui scampo curi, umana Fera
è tal, ch’altra non n’ha valle o pendice.
De la Fata de l’oro è messaggiera,
si che ’l suo possessor può far felice.
Da chi dietro le va fugge leggiera,
d’ogni occulto tesoro esploratrice.
Muta le corna sue due volte il giorno,
e cento libre d’or pesa ogni corno.

118.Morir non può, perch’immortale è nata,
ma ben ha chi la prende alta fortuna.
Non è pertanto (se non vuol la Fata)
chi la sappia pigliar sotto la Luna.
Onde di te (cred’io) piú fortunata
créatura mortai non vive alcuna,
poi che non sol da te non si diparte,
ma di proprio voler viene a cercarte.

3