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239.Qui tacque, e Luciferno il fiero Scita,
cui lacerava il cor verme di rabbia,
de’ suoi scorni sdegnoso, e che rapita
tanta gloria di mano un Garzon gli abbia,
poi che d’Alinda ebbe l’istoria udita,
si trasse avante con enfiate labbia,
e sbarrando le braccia, alzò feroce
in questo suon la temeraria voce:

240.— Qual leggerezza, o qual furor v’aggira
voi che di dotti v’usurpate il nome?
e qual fuor di ragion ragion v’inspira
suppor sí frale appoggio a sí gran some?
De la follia, ch’a vaneggiar vi tira,
non v’accorgete omai canute chiome?
Forse interesse in voi corrompe onore?
o vi move lascivia a tanto errore?

241.Cosa dunque vi par degna di voi,
che sen porti costui sí fatta preda?
e che ’l premio negato a tanti Eroi
a fanciullo inesperto or si conceda?
Ben che, s’io guardo ai portamenti suoi,
piú tosto che fanciul, femina il creda.
Un, ch’agli abiti, agli atti, a la favella
con vergogna d’ogni uomo uomo s’appella.

242.Meglio saprá con quel suo bruno ciglio,
col biondo crin, con la purpurea guancia
l’armi adoprar di Venere e del figlio,
che regger scettro, o sostener bilancia.
Vie piú ne’ giochi de lo Dio vermiglio
tra tirsi ed edre, ove si tresca e ciancia,
con Satiri a scherzar vani e leggieri
atto sará, ch’a maneggiare imperi.