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235.Lunge dal patrio suol (cosí la punse
vergognoso timor) fuggi tremante;
né me da lei lungo camin disgiunse,
sempre del vago piè seguace errante.
Misera, in tronco alfin cangiata aggiunse
verdura ai boschi, e numero a le piante.
Ma dal gravido sen (com’al Ciel piacque)
sovr’ogni altro leggiadro un figlio nacque.

236.Nacque colá tra quelle piagge apriche
dove l’unico augel s’annida e pasce,
che ’ncenerite le sue piume antiche,
di sé padre ed erede, e more e nasce.
Al bel parto apprestar le Ninfe amiche
fiorita cuna, ed odorate fasce:
ch’ove il latte mancò, nutrito intanto
fu de le stille del materno pianto.

237.Stupor dirò, che l’altrui fede avanza:
sotto la poppa del sinistro lato
il bel corpo portò fuor d’ogni usanza
mirabilmente il fanciullin segnato.
D’una rosa vermiglia a la sembianza
purpurea macchia vi dipinse il fato,
quasi volesse pur la Dea d’Amore
del carattere suo stampargli il core.

238.Questi in Arabia vive, ove ancor io
ho menata fin qui vita selvaggia.
Ma come prima il vostro editto uscio
abbandonai quella deserta spiaggia,
e qua ne venni al mio terren natio,
perché ’n altrui l’elezzion non caggia.
Non dee giusta ragion di questa sede
tórre il proprio retaggio al vero erede. —