Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/383


219.Poi che l’arco costui, secondo l’uso,
de la lingua piccante ebbe arrotato,
torse ghignando e sorridendo il muso,
e col gomito urtò chi gli era a lato.
— Or chi — dicea — non rimarrá confuso
in risguardar quest’atomo animato?
O quale Sfinge indovinar sapria
che qualitá di creatura ei sia?

220.Da qual nicchio sbucò di Flegetonte
un Granchio tal, cui par non fu mai scorto?
con qual Bertuccia si congiunse Bronte,
onde ne nacque un sí stupendo aborto?
Se l’arco avesse in man, la benda in fronte,
l’ali su ’l tergo, e ’l piè non fusse torto,
e’ mi parrebbe a le fattezze estrane
10 Dio d’Amor de’ Topi e de le Rane!

221.A le parti del corpo io non m’oppongo,
se noi guastasse alquanto il piedestallo;
e se fusse un sommesso almen piú longo,
per Ganimede io l’avrei tolto in fallo.
Sotto quel suo cappel somiglia un fongo,
al vestire, a la piuma un Pappagallo.
Sembra nel resto una Grottesca a gitto,
overo un Geroglifico d’Egitto.

222.Veramente a ragion biasmar non posso
sí gentil personaggio, e sí bel fante,
ché se la base è picciola al colosso,
11 torso è però grande e torreggiante;
e s’io ben miro, il naso ha cosí grosso
che ne staria fornito un Elefante,
ben che di schiatta elefantina un mostro
il dimostrino ancora il dente e ’l rostro.