Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/367


155.Stanno tutti a mirarlo attenti e cheti,
da Scomrno in fuora, un vecchiarei ritroso,
de’ satirici piú che de’ faceti,
ma carco il pigro piè d’umor nodoso,
che gli tien tra gli articoli secreti
de le giunture un freddo gelo ascoso,
onde del corpo stanco il grave incarco
sovra torto bastone appoggia in arco.

156.Questi il capo crollò, le ciglia torse,
segni fe’ di disprezzo, atti di scherno.
— Vattene — disse — pur lá sotto l’Orse
tra le Fere a regnar Mostro d’A verno.
Prove di gagliardia bisognan forse
del paese amoroso al bel governo?
No no, di comandar piú degno sei
lá su i gioghi Arimaspi, e su i Rifei.

157.Chi non ravisa in quel color ferrigno
di questo Cavalier tremendo e forte,
e ’n quel volto tra scialbo ed olivigno
de le Furie l’effigie, e de la Morte?
Xon vedete qual fólgore sanguigno
da le luci saetta oblique e torte,
con cui di seminar prende ardimento
tra bellezze ed amori odio e spavento?

158.Principe e Re, non dirò giá di regno,
che spesso è dono di Fortuna insana,
ma di titolo d’uomo ancora indegno,
vivo spirto ferino in forma umana.
Vii pensier, rozo cor, selvaggio ingegno,
intesa a basse cure alma villana
veggio nel tuo sembiante infellonito,
che ti mostra malnato, e malnutrito.