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119.Sí v’ivo un dolce da’ bei lumi spira,
che forza ha in sé di foco, e di saetta;
e con tanta virtú rapisce e tira,
che ferendo ed ardendo anco diletta.
Sparsa di bella cenere si mira
scolorita la guancia e pallidetta,
pallida sí, ma quel pallore è tale
ch’è pallore amoroso, e non mortale.

120.Langue nel labro dolcemente onesto
una fresca viola alquanto smorta.
Gravi ha gli atti e composti, e nel modesto
sembiante signoril la grazia porta.
E dove giri con furtivo gesto
l’occhio predace una rivolta accorta,
d’ogni rubcllo a forza ottien la palma:
se non gli doni il cor, ti ruba l’alma.

121.Né stringe in nastro il crin, né in benda appiatta,
ma pettinato in su le spalle il versa,
di quel biondor c’ha la castagna tratta
del suo guscio spinoso, o l’ambra tersa.
Con sottil arte e magisterio fatta
l’addobba, e ’nfino al piè gli si attraversa
frappata una giornea, che copre e cela
sotto nero velluto argentea tela.

122.Sovra l’omero stretta, e larga in punta,
l’una manica e l’altra in giú trabocca,
e si dilata sí, che quando è giunta
su i confín de la man, la terra tocca.
Da la manica manca il braccio spunta
per lo taglio maggior, che le fa bocca,
e del ricco giubbon scopre la trama,
ch’è di semplice argento in pura lama.