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111.Ferve in guisa colá l’estiva arsura,
che quasi incarbonir gli uomini potè;
onde porta ciascun di notte oscura
dal diurno splendor tinte le gote;
e ’l Sol vicino a terra oltremisura
gira si basso le lucenti rote,
che poco men che con le mani istesse
si potrebbe toccar, se non cocesse.

112.Scopre il candido dente ad ora ad ora
d’una schietta granata il labro tinto.
Forato è l’orlo, e pendon da le fóra
cerchietti d’òr di bei zaffir distinto.
Cosí le parti ond’ode, ed onde odora,
reggon pendenti d’indico giacinto
e lunghe filze d’unioni elette,
ricchi tributi d’isole soggette.

113.Un frontal d’Ethiopico ametisto
l’adusta fronte illuminando inaura,
sí che d’oro e di foco un lampo misto,
quando intorno si volge, aventa a l’aura,
e di qualunque cor languido e tristo
la mestizia rallegra, il duol restaura.
Gemma piú ch’altra fulgida e serena,
che quasi occhio di Vergine balena.

114.D’un farsetto leggier, qual si costuma
tra’ Satrapi Indiani, egli è vestito.
Di lana no, ma di minuta piuma
di strani augelli a lista a lista ordito,
tutto squamoso di dorata spuma,
e di mille color tutto fiorito.
Lieve tocca cangiante in mezo il cinge,
che con groppo leggiadro il lega e stringe.