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87.Egli per l’ampia scala il passo spinse
fin che pur di Ciprigna a piè ne venne.
Tentò le preci, usò le forze, e strinse
la bramata mercé, ma non l’ottenne,
perché quando a levarle egli s’accinse
la corona di man, stretta la tenne,
tanto che ’ndietro alfin con occhi bassi
girò confuso e taciturno i passi.

88.Tal Cervo, a cui talor tronca o caduta
la selva sia de le ramose corna,
vergognosetto in solitaria e muta
valle s’appiatta, e ’n tana erma soggiorna.
Tal Pavon, che per caso abbia perduta
la gemmata corona onde s’adorna,
fuggendo il Sole, e disamando il lume,
piagne la povertá de le sue piume.

89.Succede il campo a passeggiar Lucindo,
che di Bitinia i popoli governa.
Canti tanta beltá Cigno di Pindo,
o piova Apollo in me vena superna.
Non vide mai dal Mauritano a l’Indo
piú morbido candor la lampa eterna.
Ben opimo di polpe il corpo estolle,
cresciuto anzi stagion, tenero e molle.

90.Spuntan nel piano, ove ’l bel volto ha meta,
d’una fronte serena i puri albori.
Seguono ingiuriosi al gran Pianeta
di duo bei Soli i mobili splendori,
ne la cui luce amorosetta e lieta
nutre un verde smeraldo umidi ardori.
Rosse le chiome ha piú che sangue o foco,
e son le ciglia sue d’oro e di croco.