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7.Tempo fia dunque in braccio al caro bene,
o bell’Adon, da ricondurti omai,
che l’un e l’altro fra tormenti e pene
ha sospirato, ha lagrimato assai.
Prepara i vezzi, ecco ch’a te sen viene,
rasciuga, o Dea d’Arnor, gli umidi rai.
Chi dirá, che fruttar possano i semi
degli estremi dolor diletti estremi?

8.Del palagio del Ciel ricco e lucente
chiuse l’auree finestre eran giá tutte,
salvo quella ch’aperta in Oriente
rimane in fin che sien l’ombre distrutte;
dove le bionde chiome al di nascente,
ancor non ben de la rugiada asciutte,
Vener bella s’acconcia, e restar suole
indietro alquanto a gareggiar col Sole:

9.quando da la dolcissima canzone
svegliato alfin del rossignuol selvaggio,
che lieto al rimbambir de la stagione
salutava d’Apollo il primo raggio,
le pompe a vagheggiar si pose Adone
del dí novello, e del novello Maggio,
or quinci or quindi a contemplar rapito
il terreno stellato, e ’l ciel fiorito.

10.Erano giá per man di Primavera
d’odorate ricchezze i campi adorni,
allor che ’n Tauro la maggior lumiera
men brevi adduce e piú sereni i giorni,
Progne, e tu del bel tempo messaggiera
le dolci case a far tra noi ritorni;
e ’l cristallino piè, ch’a’ fiumi avea
Borea legato. Zefiro sciogliea.