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323.Rimanti ad infettar questi deserti
gioco ai vènti, ésca ai corvi empia e nefanda;
ben che se conoscessero i tuoi merti,
aborririan si fetida vivanda.
La terra non potea piú sostenerti,
però ne l’aria ad alloggiar ti manda!
Or piú non curo i propri mali, e godo
ch’i nostri nodi almen vendichi un nodo. —

324.Tace, e poc’oltre van per quel camino,
ch’altro orrendo spettacolo gli arresta.
Ecco un corpo trafitto, a cui vicino
eccone un altro ancor, ch’è senza testa;
e da lor non lontano ecco un mastino
sviscerato giacer ne la foresta.
Adon s’accosta, e ben conosce a pieno
quel eh‘è piú guasto e si conosce meno.

325.Ch’è Filora, il sa ben; ma chi reciso
dopo la sua partita il capo l’abbia
pensar non sa, ben che dal cane ucciso,
che di vermiglio ancor tinte ha le labbia,
trar può chiaro argomento, e certo aviso,
che cibo ei fu de la canina rabbia.
Yolgesi a l’altro, affisa il guardo in esso,
e per Filauro il risconosce espresso.

326.Compatisce, e stupisce, e giá per questo
come la cosa stia non ben intende,
né che quell’accidente empio e funesto
seguito sia per sua cagion comprende.
Udito il caso doloroso e mesto,
per chiarirsi del ver, Sidonio scende.
Quando chi sien coloro Adon gli conta,
ferma il cavallo, e da l’arcion dismonta.