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223.Giardin, che di frondose ombre verdeggia,
le falde infiora al gran palagio augusto,
lá dove unico varco a l’alta reggia
apre in solingo calle un uscio angusto.
Ma cautamente il guarda e signoreggia
il fido Herbosco, un vecchiarei robusto,
del bel verziero, ov’altri entra di raro,
sollecito cultor custode avaro.

224.Scender assai sovente ivi a diporto
le donzelle di Corte hanno per uso,
però che intorno intorno il nobil orto
d’insuperabil muro è tutto chiuso.
Qui da stella benigna a caso scòrto,
qui di stupor, qui di piacer confuso,
passando un dí, mentre il villan n’uscía,
io vidi spaziar l’anima mia.

225.Soviemmi tosto un amoroso inganno,
sembiante e qualitá trasformo e fingo.
Di rotta spoglia e di mendico panno,
fatto vii contadin, mi vesto e cingo.
Scingo la spada, e (sí com’essi fanno)
grossa e ruvida pala in man mi stringo.
Ai rozi arnesi, al rozo andar che vede,
povero zappador ciascun mi crede.

226.Sotto un cappel di paglia il capo appiatto,
c’ha di vago Fagian penna dipinta.
D’aspre lane ho la gonna, aspro sovatto
ricucito in piú parti è la mia cinta.
Malpolita la fibbia innanzi adatto,
che con curvo puntai la tiene avinta.
Calzo sordide cuoia, e sotto il braccio
con vii corda a traverso un zanio allaccio.