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187.— Uopo qui non vi fía di brando o d’asta.
Signor, giostra non vo; guerra non cheggio.
Cheggio pace e pietá, ché ben mi basta
se con Fortuna e con Amor guerreggio.
Chi con Fortuna e con Amor contrasta,
che può da Marte mai temer di peggio?
Lasso, che con altr’arini, e d’altra sorte,
per man d’altra Guerrera ebbi la morte!

188.Egli m’ha ben di sí pietosa cura
vostro dolce languire il core impresso,
ch’io saprei volentier di questa dura
amorosa tragedia ogni successo.
Qual talento, qual forza, o qual ventura
vi desvia da le genti, e da voi stesso?
Ch’io, che non son da simil laccio sciolto,
gli affanni altrui non senz’affanno ascolto.

189.E tanto piú de l’ascoltate pene
forte a pietá m’intenerisco e movo,
ché ’l nostro stato si confá si bene,
ch’udendo i vostri, i dolor miei rinovo.
Di ceppi, e ferri, e carceri, e catene
(s’io ben comprendo) a ragionar vi trovo.
Ed anch’io tra prigioni e sepolture
di loco in loco ognor cangio sciagure.

190.Questo amarvi non solo e reverirvi
mi fa, quantunque incognito e straniero,
ma la persona istessa anco offerirvi,
quando pur non abbiate altro scudiero.
Saprò con pronto affetto almen servirvi,
tenervi l’armi anch’io, darvi il destriero.
Chi porta ognor tante saette al fianco
una lancia portar potrá ben anco. —