Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/166

GLI ERRORI

IÓO

31.Il fanciul, che non sa ciò che nasconde
di vero e di viril gonna bugiarda,
or i bei lumi, or l’auree chiome bionde
fiso contempla, e cupido risguarda.
Ma quanto mira piú, piú si confonde,
e piú convien che se n’accenda ed arda.
Cosí sviata dietro al cor che fugge,
l’alma si perde, ed egli invan si strugge.

32.Mentre cerca or con gesti, or con parole
scoprirgli di qual piaga ha il core offeso,
Adon ben se n’accorge, e ben si dole
di sua follia, che ’l sesso in cambio ha preso.
Pur se n’infinge, e de’ begli occhi il Sole
gli volge, per temprar quel foco acceso:
ch’a sconsolato cor che vive in guai
anco i finti favor son cari assai.

33.Ma cosí scarso è il refrigerio, e breve,
che tante fiamme a mitigar non vale,
anzi quel van piacer, che ne riceve,
è mantice a l’ardor, cote a lo strale.
Or mentr’ei langue, e si disfa qual neve
a Sole estivo, o pur a vento Australe,
chi sia colei, qual egli siasi, e donde
Adon dimanda, e ’l giovane risponde.

34.— È proverbio vulgar, ch’aver consorti
ne le miserie ai miseri pur giova.
Ma veri non sent’io questi conforti,
che ’l mio mal per l’altrui pace non trova.
Anzi veggendo ch’agli antichi torti
Fortuna aggiunge ognor materia nova,
mentre me piango, e in un di te m’incresce,
nel tuo dolore il mio dolor s’accresce.