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159.Tutte le membra sue (mirabil mostro!)
impicciolirò, e si velár di penne:
e di verde, e d’azurro, e d’oro, e d’ostro
piumato il corpo in aria si sostenne.
S’ascose il labro, anzi aguzzossi in rostro,
la bocca, il mento, il naso osso divenne.
Divenne carne l’incarnata vesta,
e si fece il cappel purpurea cresta.
160.Ne le dita, che fatte ha piú sottili,
spuntan curve e dorate unghie novelle;
fregian ristretto il collo aurei monili,
si raccoglie ogni braccio entro la pelle,
si ritiran le man bianche e gentili,
e s’allargano in ali ambe l’ascelle.
Due gemme ha in fronte, ond’esce un dolce lume,
sí che piú vago augel non batte piume.
161.Venere bella, ahi qual perfidia, ahi quale
forte ventura il tuo bel Sol t’ha tolto?
La beltá, del tuo foco ésca immortale,
ecco prende altra spoglia, ed altro volto.
Strano malor del calice infernale,
in cui tosco maligno era raccolto.
L’incantata bevanda ebbe tal forza,
che fu possente a trasformar la scorza.
162.Fusse del Nume che ’l difende e guarda
providenza divina, o fusse caso,
quando il vetro pigliò la Maliarda
scambiò per fretta e per errore il vaso.
Quel che fa che d’amore ogni cor arda
(simile in tutto a questo) era rimaso;
ed ingannata da l’istessa forma
in sua vece adoprò quel che trasforma.