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92 la fortuna


143.V’ha poi templi ed altari, havvi Amor seco
simulacri, olocausti, e sacerdoti,
dove in segno d’onor, del popol greco
pendono affissi in lunga serie i voti.
Offrono al Nume faretrato e cieco
vittime elette i supplici devoti,
e gli spargono ognor tra roghi e lumi
di ghirlande e d’incensi odori e fumi.

144.Qui per elezzïon, non per ventura
già di Liguria ad abitar venn’io.
Pasco per l’odorifera verdura
i bianchi armenti, e Clizio è il nome mio.
Del suo bel Parco la custodia in cura
diemmi la madre de l’alato Dio,
dov’entrar, fuor ch’a Venere, non lice,
ed a la Dea selvaggia e cacciatrice.

143.Trovato ho in queste selve ai flutti amari
d’ogni umano travaglio il vero porto.
Qui da le guerre de’ civili affari
quasi in securo Asilo, il Ciel m’ha scòrto.
Serici drappi non mi fur sì cari
come l’arnese ruvido ch’io porto;
ed amo meglio le spelonche e i prati,
che le logge marmoree, e i palchi aurati.

146.Oh quanto qui più volentieri ascolto
i sussurri de l’acque, e de le fronde,
che quei del foro strepitoso e stolto,
che ’l fremito vulgar rauco confonde!
Un’erba, un pomo, e di Fortuna un volto
quanto più di quiete in sé nasconde
di quel ch’avaro Principe dispensa
sudato pane in malcondita mensa!