Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/669


211.Potervi solo entrar con la mia scorta
per favor singoiar ti si concede.
Destino il vieta, e non v’ha strada o porta
ond’uom vivo giá mai vi ponga il piede.
Né ch’altri abiti qui Giove comporta,
sotto corporeo vel, che Ganimede.
Del camin nostro il terzo Sol si serra,
e giá ne chiama a riveder la terra. —

212.Tacque, e giá fatto un grado avea la Notte
de la scala onde poggia a l’Orizonte.
Volavan fuor de le Cimerie grotte
i pigri abitator di Flegetonte;
e tra le nubi ripercosse e rotte
raccolta in orbe la cornuta fronte,
Alba parea la Vergine di Deio,
sorta anzi tempo ad imbiancar il cielo.

213.La partita s’affretta, e ’l saggio Auriga
giá ripiglia la via ch’ai venir tenne,
e gli amorosi augei sferza ed instiga,
che fendon l’aria senza mover penne.
L’ombre segnando di dorata riga,
il bel carro calossi, e ’n terra venne:
e posò lieve lieve alfin disceso
nel gran Palagio il suo leggiadro peso.

214.Il Sol da che partir fino al ritorno
tre volte il lume estinse, e tre l’accese,
tanto che nel viaggio e nel soggiorno
di tre notti e tre dí spazio si spese.
Ma perché ’n Ciel mai non tramonta il giorno
Adon non se n’accorse, e noi comprese;
e tal ésca gustò, tal licor bebbe,
che di cibi terreni uopo non ebbe.

</poem>