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143.Pieri magnanime imprese, opre virili
del suo nobil pensier le cure prime.
A l’ago, a l’aspo, a’ rozi studi e vili
non piegherá giá mai l’alma sublime.
Ma da le basse valli erger gli umili,
i superbi abbassar da l’alte cime,
maneggiar scettri e dispensar tesori,
questi fíen di sua man degni lavori.

144.Uopo che molle amomo unga il bel crine,
o che barbaro nastro unqua lo stringa
non avrá giá, ché gli ori e l’ambre fine
fia che col suo biondor d’invidia tinga.
Non de la guancia l’animate brine
artefice color fia che dipinga,
altro che quel color di fiamme e rose,
che Beltá sol con Onestá vi pose.

145.Non in terso cristallo avrá costume
de’ begli occhi arrotar lo strai pungente,
ma le fia solo il chiaro antico lume
del suo sangue reai specchio lucente.
Sangue reai, che quasi altero fiume,
di grandezza immortai colmo e possente,
verrá dal fonte di sí ricche vene
le belle a fecondar Galliche arene.

146.Tenteran Morte rea, Fortuna avara,
ambe d’Amor nemiche, e di Natura,
di quest’inclito Sol la luce chiara
con benda vedovil render oscura.
Ma nel manto funesto assai piú cara
fia de’ begli occhi suoi la dolce arsura;
e come fiamma di notturna sfera,
scoprirá doppio lume in spoglia nera.