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3.Che tue lodi garrisca, e di te canti
stridula voce, ignobil cetra e vile,
che i tuoi si chiari e sí famosi vanti
adombri oscuro inchiostro, oscuro stile,
che i pregi tuoi si spaziosi e tanti
raccolga angusto foglio, Alma gentile,
sdegnar non dèi, ch’è gloria, e non oltraggio
illustrar l’ombre altrui col proprio raggio.

4.Sai che pur rauco a salutar l’Aurora
in fra i Cigni canori il Corvo sorge.
In picciol’onda, in picciol vetro ancora
chiusa del Ciel l’immensitá si scorge.
Né suol celeste Dea quando talora
simulacro votivo altri le porge,
ricco di sua bellezza aver a sdegno
rozo lin, rozo piombo, e rozo legno.

5.Tu de l’ingegno mio propizia stella
per quest’acqua ch’io corro esser ben dèi,
poi che i divini amor canto di quella
de la cui stirpe originata sei;
e di volto e di cor benigna e bella
ben la somigli, e ti pareggi a lei,
a cui per farsi a te del tutto eguale
quanto sol manca è l’onestá reale.

6.Troppo audace talor tento ben io
cantando alzarmi al tuo celeste foco,
ma le penne a l’ardir, l’aure al desio
mancano, e caggio augel tarpato e roco.
Pur se de l’opre tue nel cantar mio
il piú si tace, e quel ch’io scrivo è poco,
gran fiamma secondar breve favilla
suole, e fiume talor succede a stilla.