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263.Se gola hai di vederlo, or meco affisa
dritto le luci, ov’io l’affiso e giro. —
Egli girelle, e ’n disusata guisa
vide ondeggiar lo sferico zaffiro.
Giá d’Anfitrite a man a man ravisa
i vasti alberghi entro l’angusto giro,
e di gran selve di spalmati legni
popolati rimira i salsi regni.

264.Da le rive Adriatiche e dal porto
di Parthenope bella alate travi
giá del ferro mordace il dente torto
spiccano onuste di metalli cavi.
Giá quinci e quindi a par a par s’è scorto
un navilio compor di molte navi,
le cui veloci e volatrici antenne
per non segnate vie batton le penne.

265.Volan per l’alto, e de’ cerulei chiostri
arano i molli solchi i curvi abeti.
Pompon co’ remi e co’ taglienti rostri
de le prore ferrate il sen di Theti.
1 fieri armenti de’ marini mostri
fuggono spaventati ai lor secreti.
Sotto l’ombra de l’arbori ch’aduna
quest’armata e quell’altra, il mar s’imbruna.

266.A pena omeri quasi ha il mar bastanti
il peso a sostener di tanti pini.
A pena il vento istesso a gonfiar tanti
può co’ fiati supplir candidi lini.
Fugaci Olimpi, e vagabondi Atlanti,
Alpi correnti, e mobili Appennini
paion, svelti da terra, e sparsi a nuoto,
i gran vascelli a la grossezza, al moto.