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LE MARAVIGLIE

Lungo il suo piè con limpid’onda e viva
mormorando sen va soavemente
il destro fiumicel, da cui deriva
di letizia immortai vena corrente.

Pila un lambicco in man sovra la riva
colmo de Tacque tien di quel torrente,
e (come vedi ben) fuor de la boccia
in terra le distilla a goccia a goccia.

A poco a poco in giú versa il diletto,
per ch’altri non può farne intero acquisto.
Scarso è l’uman conforto, ed imperfetto,
e qualche parte in sé sempre ha di tristo.
Quel ben, che qui nel Cielo è puro e schietto,
piove laggiú contaminato e misto,
però che pria che caggia, ei si confonde
con quell’altro ruscel, ch’amare ha Tonde:

l’altro ruscel, che men purgato e chiaro
passa da manca, e tutto di veleno,
vie piú che fiel, vie piú ch’assenzio amaro,
e sol pianti e sciagure accoglie in seno.

Vedi colei, che ’l vaso, onde volaro
le compagne d’Astrea, tutto n’ha pieno,
e con prodiga man sovra i mortali
sparge quanti mai fur malori e mali.

Pandora è quella; il bossolo di Giove
folle audacia ad aprir le persuase,
l’uggí lo stuol de le virtuti altrove,
le disgrazie restaro in fondo al vase.

Sol la Speranza in cima a Torlo, dove

sempre accompagna i miseri, rimase;

ed è quella colá vestita a verde,

che ’n Ciel non entra, e ne l’entrar si perde.