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195.Fugge la Dea di mille rivi e mille
bagnata il sen col suo bel foco in braccio;
e — Queste — dice a lui — gelide stille,
che m’han tutta di fuor sparsa di ghiaccio,
tosto rasciugherò con le faville
di que’ sospiri ond’io per te mi sfaccio. —
Va poi seco in disparte, e cosí lassa
in penoso piacer l’ore trapassa.

196.Giá tramontar volea la maggior stella,
e del giorno avanzava ancora poco,
quando col bell’Adon Venere bella
partí da quel delizioso loco.
— Diman, dolce mio ben — gli soggiuns’ella —
ai primi lampi del diurno foco
ne verrai meco a visitare insieme
de’ regni miei le meraviglie estreme.

197.E ’I mio carro immortai vo’ che ti porti
su i sereni del Ciel campi lucenti,
a piú vaghi giardini, a piú begli orti,
dove in vece di fiori ha stelle ardenti,
magion d’incorrottibili diporti,
patria beata de le liete genti.
Non deve a te mia gloria essere ascosa,
ché degna è ben del Ciel celeste cosa.

198.Quivi data per me ti fia licenza
di contemplar con mortal’occhi impuri
quante d’alta beltá somma eccellenza
Donne avran mai ne’ secoli futuri;
ben che m’ingombri il cor qualche temenza,
e vo’ che la tua fé me n’assecuri,
non alcuna di lor, mentre la miri,
a me ti tolga, ed al suo amor ti tiri. —