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187.Mentre a garrir s’appresta, acconcio in atto
che de la nobil turba il gioco accresce,
e scote l’ali, e in un medesmo tratto
gli urli tra’ canti ambizioso ei mesce,
loquacissima Pica il contrafatto
uccellato Uccellone a sfidar esce,
e con strilli importuni in rozi carmi
dássi anch’ella a gracchiar d’amori e d’armi.

188.Ma che? non prima a balbettar si mise
quel suo (canto non giá) strepito e strido,
ch’alto levossi in mille e mille guise
in fra i volanti ascoltatori un grido,
ed empiè sí, che Citherea ne rise,
quasi di festa popolare il lido.
Tacque alfine, e fuggí non senza rischio,
del vulgo degli augei favola e fischio.

189.— Non è gran fatto, che l’audacia stolta
di questa Gaza, che sí mal borbotta,
1’adunanza gentil ch’è qui raccolta
— disse Venere bella — abbia interrotta.
Giá volse in altra forma un’altra volta
con la schiera pugnar famosa e dotta;
ma con l’altre Pieridi confuse
vergogna accrebbe a sé, gloria a le Muse. —

190.Amor, che vede di quel canto lieto
la madre intesa a la piacevol guerra,
volando intanto, ove ’l vicin mirteto
insidiosa chiave asconde e serra,
volge anelletto picciolo e secreto,
e con gagliardo piè batte la terra:
ed ecco d’acqua un repentino velo,
che fa pelago al suolo, e nube al cielo.