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107.Incontro al biondo Arder, che folgoranti
dritto da l’arco d’or scoccava i raggi,
scudo faceano ai duo felici amanti
con torte braccia i Briarei selvaggi.
Mossi da l’aure vane e vaneggianti
con alterni sussurri abeti e faggi
pareano dire (e lingua era ogni fronda):
— Piú ne nutrisce Amor, che ’l Sole e l’onda. —

108.Or quivi un dí fra gli altri ecco che stanco
tornar di caccia ed anelante il vede.
L’or biondo e crespo, il terso avorio e bianco
tre volte e quattro a rasciugar gli riede.
Gli fa catena de le braccia al fianco,
sei reca in grembo, e ’n grembo a l’erba siede;
e ’n vagheggiando lui, che l’invaghisce,
pur com’Aquila al Sol, gli occhi nutrisce.

109.Tien le luci a le luci amate e fide
congiunte, il seno al seno, il viso al viso.
Divora e bee, qualora ei bacia o ride,
con la bocca e con l’occhio il bacio e ’l riso.
— Deh chi dagli occhi miei pur ti divide,
o non da’ miei pensier giá mai diviso?
Qual altra esser può mai cura che vaglia
a far che del mio duol nulla ti caglia?

110.Or m’aveggio ben io, che d’egual foco
(chi creduto l’avria?) meco non ardi.
e che formi talor, sí come poco
avezzo a ben amar, vezzi bugiardi;
poi che posposto a la fatica il gioco,
da le tue cacce a me torni sí tardi;
e curi (come suole ogni fanciullo)
piú che tutt’altro, un pueril trastullo. —