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83.— Ahi qual m’abbaglia — sospirando dice —
folgore ardente, e candido baleno?
Quai vibrar veggio, spettator felice,
fiamme i begli occhi, e nevi il bianco seno?
Forse del Ciel de Tacque abitatrice
fatta è quest’alma, o questo è un Ciel terreno?
Traslato è in terra il Ciel. Venga chi vole
in Aquario quaggiú vedere il Sole.

84.Beltá (cred’io) non vide in vai di Xanto
Paride tal ne la medesma Diva;
né d’amoroso foco arse cotanto
quando mirò la mal mirata Argiva,
qual io la veggio allettatrice, e quanto
sento l’alma stemprarmi in fiamma viva:
fiamma, di cui maggior non so se fusse
quella che la sua patria arse e distrusse.

85.Dimmi, Padre Xettun, se ti rimembra
quand’ella uscí de le tue salse spume,
di’ se vedesti ne le belle membra
tanto splendore accolto, e tanto lume.
Dimmi tu Sol, quella beltá non sembra
oggi maggior del solito costume?
maggior che quando in Ciel fosti di lei
invido testimonio agli altri Dei?

86.Fosti men fortunato, Endimione,
indegno di mirar quel ch’oggi io miro,
quando a te scese dal sovran balcone
la bianca Dea de l’argentato giro.
Cedimi cedi, o misero Attheone,
ch’io per piú degno oggetto ardo e sospiro;
e differente è ben la nostra sorte:
ch’io ne traggo la vita, e tu n’hai morte.