Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/433


19.Vergognosetta d’un ludibrio tanto
la Dea d’Amor, ch’i membri alabastrini
non avea da coprir velo né manto,
tenea bassa la fronte, e gli occhi chini.
Intorno al corpo immacolato intanto
sparsi i cancelli de’ legami fini.
Graticolando le sembianze belle,
diviso aveano un Sole in molte stelle.

20.Bravò lo Dio del ferro, e si contorse
quando il forte lacciuol prima annodollo,
romper col suo valor credendo forse
e stracciar que’ viluppi ad un sol crollo;
ma poi che prigioniero esser s’accorse,
né poterne ritrar le braccia e ’l collo,
anch’ei, ben che di rabbia enfiato e pieno,
a pregar cominciò, come Sileno.

21.Vulcan tien tuttavia la rete chiusa,
né scioglie il nodo, né rallenta il laccio,
ché l’infida moglier cosí delusa
vuol ch’ivi al drudo suo si resti in braccio.
Intercede ciascuno, ed ei ricusa
di liberargli dal noioso impaccio.
Pur del vecchio Nettun consente a’ preghi,
che la coppia impudica alfin si sleghi.

22.Dassi a lo Dio che ne le piante ha l’ale
cura d’aprir quell’ingegnosa gabbia,
ed ei non intraprende ufficio tale
per cortesia, né per pietá che n’abbia,
ma perché de l’Adultera immortale,
che di vergogna e di dispetto arrabbia,
sciogliendo il nodo che l’avolge e chiude,
spera palpar le belle membra ignude.