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163.Mercurio è quei che mesce, e che rifonde
ne l’auree conche i preziosi vini.
Amor rinfresca con le Iimpid’onde
l’idrie lucenti e i vasi cristallini.
L’un e l’altro gli terge, e poi gli asconde
nel piú denso rigor de’ geli alpini,
le vicende scambiando or questo, or quello
nel servire or di coppa, or di coltello.

164.Traboccan qui di liquid’oro, e gravi
di stillato ametisto, urne spumanti.
Tengon gemme capaci i ventri cavi
di rugiada vital colmi e brillanti.
Sangue giocondo, e lagrime soavi,
che non péste versar l’uve pregnanti,
onde di Cipro le feconde viti
soglion dolce aggravar gli olmi mariti.

165.La bella Dea di nèttare vermiglio
rugiadoso cristallo in man si strinse.
Libollo, e con dolce atto, e lieto ciglio
nel bel rubino i bei rubini intinse.
Poi di vergogna, il semplicetto giglio
violando di rosa, il volto tinse,
e l’invitò, póstogli il vaso innanzi,
parte a gustar de’ generosi avanzi.

166.Il bel Garzon, ch’ingordamente assiso
presso quell’ésca, onde la vita ei prende,
tutto dal vago e dilicato viso,
l’altra spesso obliando, intento pende,
e con guardo a nutrir cupido e fiso
men la bocca che gli occhi avido intende,
v’immerge il labro, e vi sommerge il core,
e resta ebro di vin, ma piú d’amore.

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