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127.E perché l’uom, ch’a le fatiche è lento,
ne l’operazion mai non si stanchi,
e non pascendo il naturai talento,
l’individuo mortai si strugga e manchi;
vuol chi tutto creò, che l’alimento
non sia senza il piacer, che lo rinfranchi,
onde questo con quel sempre congiunto
abbia a nutrirlo, e dilettarlo a un punto.

128.Notasti mai da quante guardie e quali
sia la Lingua difesa e custodita?
Perché da’ soffi gelidi brumali
del nevoso Aquilon non sia ferita,
quasi di torri, o pur d’antemurali
coronata è per tutto, e ben munita.
E perch’altro furor non la combatta,
sotto concavo tetto il corpo appiatta.

129.Da le fauci al palato in alto ascende,
quanto basta e convien, polputa e grossa.
Larga ha la base, e quanto piú si stende
s’aguzza in cima, ed è spugnosa c rossa.
Ha la radice, onde deriva e pende,
forte, perch’aggirar meglio si possa.
Volubilmente si ripiega e vibra,
muscolosa, nervosa, e senza fibra.

130.Dico cosí, che ’l Facitor sovrano
cotale ad altro fin non la costrusse,
se non perché del nutrimento umano,
che dal gusto provien, stromento fusse;
senza il qual uso, inutil fora e vano
quanto di dolce al mondo egli produsse.
E questa del tuo cor fiamma immortale
senza Cerere e Bacco è fredda e frale.