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55.Le stelle poco dianzi innamorate
di quel soave e dilettevol canto,
fuggir piangendo, e da le logge aurate
s’affacciò l’Alba, e venne il Sole intanto.
Il Musico gentil per gran piotate
l’estinto corpicei lavò col pianto,
ed accusò con lagrime e querele
non men se stesso, che ’l destin crudele.

56.Ed ammirando il generoso ingegno,
Un negli aliti estremi invitto e forte,
nel cavo ventre del sonoro legno
il volse sepelir dopo la morte.
Né dar potea sepolcro unqua piú degno
a sí nobil cadavere la Sorte.
Poi con le penne de l’augello istesso
vi scrisse di sua man tutto il successo.

57.Ma chi fu che l’instrusse? il mastro vero
(non so se ’l sai) fu di quest’arte Amore.
Egli insegnò la Musica primiero,
ei fu de’ dolci numeri l’autore,
e del soave ordigno e lusinghiero
volse le corde nominar dal core.
Oh che strana armonia dolce ed amara
ne la sua scola un cor ferito impara!

58.Dica costei che ’l sa, costei che ’l sente,
di questa invenzi’on l’origin vera,
fa’ che l’istesso Amor, ch’è qui presente,
ti narri onde l’apprese, e ’n qual maniera.
Contan ch’un dí ne la fucina ardente,
che d’Etna alluma la spelonca nera,
dove alternano i fabri i colpi in terzo,
l’ingegnoso fanciullo entrò per scherzo.