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159.Arbitro è il cenno tuo del mio consiglio,
quanto puoi ne l’amor, puoi ne lo sdegno.
E che curar degg’io di cieco figlio?
Tu se’ il mio caro e prezioso pegno.
Porta Amor l’arco in man, tu nel bel ciglio;
tende Amor il lacciuol, tu se’ il ritegno;
Amor ha il foco, e tu dái l’ésca; Amore
111’uscí del seno, e tu mi stai nel core.

160.Ma sappi, anima mia, che quale il vedi,
quel ch’or ti fa pietá, povero infante,
volge il mondo sossovra, e sotto i piedi
ha con tutti i Celesti il gran Tonante.
Ben te n’accorgerai, se tu gli credi,
ma non gli creda alcun accorto amante!
Scelerato, fellon. Furia, non Dio,
sí partorito mai non l’avess’io.

161.È cieco sí, non perché giá gli strali
se ferir vuol non veggia ove rivolga,
ch’ascoso il cor nel petto de’ mortali
trovar ben sa, senza che ’l vel si sciolga.
Cieco ei s’infinge sol negli altrui mali,
né gli cal ch’altri pianga, o che si dolga;
e cieco è sol, però ch’accieca altrui
per dar la morte a chi si fida in lui.

162.Fiero accidente e rapido volere,
desio che ’nchina a partorir nel bello.
Scende al cor per la vista, e vuol godere:
cerca il diletto, e sol s’acqueta in quello.
Ma poi che lusingato ha col piacere,
ai piú fidi e devoti è piú rubello.
Gli altri affetti de l’alma, a pena entrato
scaccia, e s’usurpa quel che non gli è dato.