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99.— Adon cor mio, mio core, omai serena
la mente ombrosa, e lascia ogni altra cura.
O tre volte mio cor, deh (prego) affrena
quel desio di cacciar ch’a me ti fura.
Non far (se m’ami) ch’acquistata a pena
perdano gli occhi miei tanta ventura.
Non voler dato a me, da me disgiunto,
e ricca farmi e povera in un punto.

100.Non sottopor de’ boschi ai duri oltraggi
le dilicate membra e giorno e notte.
Lascia a piú rozi cori, e piú selvaggi,
de le fere il commercio e de le grotte.
Che ti giova menar tra l’elci e i faggi
spezzati i sonni, e le vigilie rotte?
e in ozio travagliato e faticoso
inquieta quiete, aspro riposo?

101.Che ti vai la faretra ognor di strali,
e di mostri la selva impoverire?
De le Dive celesti ed immortali
bastiti co’ begli occhi il cor ferire,
senza voler de’ rigidi animali
con tuo danno, e mio duol, Torme seguire.
Perché di questo sen denno le selve,
e di me piú felici esser le belve?

102.Soffrir dunque poss’io, che da le braccia
rapita (oimè) mi sia tanta bellezza,
per darla a tal, che con l’artiglio straccia,
e col dente ferisce, e la disprezza?
O crude fere, o maledetta caccia,
o ricetti d’orrore e di fierezza,
indegne di mirar luci sí pure,
contumaci del Sol, foreste oscure!