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canto quarto 215


59.Ma poi che pur la Maëstà superna
così di noi disporre or si compiace,
cancellar non si può sua legge eterna,
ma convien, figlia mia, darsene pace.
De’ consigli di lui che ne governa
è l’umano saver poco capace,
poi che i giudicii suoi santi e divini
son ordinati a sconosciuti fini.

60.Ben ch’a sposar lo struggitor del mondo
ti danni Apollo in suo parlar confuso,
chi sa s’altro di meglio in quel profondo
Archivio impenetrabile sta chiuso?
Spesso effetto sortì lieto e giocondo
temuto male, ond’uom restò deluso.
Servi al Ciel, soffri, e taci». E con tai note
verga di pianto le lanose gote.

61.La sconsolata e misera Donzella
vede ch’ei viva a sepelir la porta,
e tal sollennità ben s’accorg’ella
ch’a sposa no, ma si conviene a morta;
magnanima però non men che bella,
l’altrui duol riconsola e riconforta,
e i dolci umori, onde il bel viso asperge,
col vel purpureo si rasciuga e terge.

62.«Che val pianger?» dicea, «che più versate
lagrime intempestive, e senza frutto?
A che battete i petti, ed oltraggiate
di livore e di sangue il viso brutto?
Ah non più no; di lacerar lasciate
la canicie del crin con tanto lutto,
offendendo con doglia inefficace
e la vostra vecchiezza, e la mia pace.