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canto quarto 209


35.Uom, che povero d’or, colmo di mali,
e da Natura e da Fortuna oppresso
sia cadavere vivo in fra i mortali,
sì ch’abbia invidia ai morti, odio a se stesso,
e senza essempio di miserie eguali
tutto vòti Pandora il vaso in esso:
ch’a tal consorte, in tal prigion la stringa
mi comanda, mi prega, e mi lusinga.

36.Scòrgemi intanto al loco ove m’addita
la meraviglia de le cose belle,
che circondata intorno e custodita
da vago stuol di leggiadrette ancelle,
par tra le spine sue Rosa fiorita,
par la Luna, anzi il Sole in fra le stelle.
«Mira colà, quella è la rea» mi dice
«de le bellezze mie competitrice».

37.Dal carro, che con morso aureo l’affrena,
scioglie, ciò detto, le canute guide,
e d’un Delfino in su l’arcuta schiena
solca le vie de’ pesci, e ’l mar divide
Così di Cipro a la nativa arena
torna, che lieta al suo ritorno arride.
Ed io rimango a contemplar soletto
quel sovruman, sovradivino oggetto.

38.Veggio doppio Orïente, e veggio dui
cieli, che doppio Sol volge e disserra,
dico que’ lumi perfidi, ch’altrui
uccidon prima, e poi bandiscon guerra;
sì che mirando un cor quel bello, a cui
paragon di beltà non ha la terra,
quando pensa al riparo il malaccorto,
e vuol chieder mercé, si trova morto.