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canto quarto 207


27.Vide poi la Marecchia e ’l Serchio e ’l Varo,
la Brenta, il Brembo e la Livenza e ’l Sile,
e l’Adda, e l’Oglio, e ’l Bacchiglione al paro,
superbo il Mincio, il picciol Rheno umile,
il Tanaro, il Tesin, la Parma e ’l Taro
e la Dora, che d’or riveste Aprile,
e Stura e Sesia, e di fresche ombre opaco
da foce aurata scaturir Benaco.

28.Quindi al gran trono degli Herculei Regi
su ’l Po volando i bianchi augei rivolse,
dove ricca sedea d’illustri fregi
la Città che dal Ferro il nome tolse.
Ma le fu detto che Fortuna i pregi,
di cui fiorir solea, sparse e disciolse.
Mille già v’ebbi un tempo e palme e prede,
poi tra Secchia e Panara io cangiai sede.

29.Non lunge dal maggior fiume toscano
vide l’Arbia con l’Ombro, indi il Metauro,
e con l’Isapi suo minor germano
presso il Ronco e ’l Monton correr l’Isauro,
e ’l Tremisen, là dove il verde piano
vermiglio diverrà del sangue mauro,
e dal freddo Appennin discender Trebbia,
genitor di caligine e di nebbia.

30.Tra’ campi arrivò poi fertili e molli,
dove del Tebro il mormorio risona,
e de’ suoi sette trïonfanti colli
il gran capo del Lazio s’incorona.
Ma seppe quivi furïosi e folli
più tosto soggiornar Marte e Bellona,
e con Perfidia e Crudeltà tra loro
baccar sete di sangue, e fame d’oro.