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canto quarto 203


11.Quel divin raggio di celeste lume,
ch’avrebbe il ghiaccio istesso arso e distrutto,
risplendea sì, che qual terrestre Nume
adorata era omai dal popol tutto;
lo qual de la gran Dea, che da le spume
prodotta fu del rugiadoso flutto,
tutti gli onor, tutte le glorie antiche
publicamente attribuiva a Psiche.

12.Sì di Psiche la Fama intorno spase
(tal era il nome suo) celebre il grido,
che questa opinïon si persuase
di gente in gente in ogni estremo lido.
Pafo d’abitator vota rimase,
restò Cithera abbandonata, e Gnido;
nessun più vi recava ostia né voto
Orator fido, o Passaggier devoto.

13.Manca il concorso ai frequentati altari,
mancano i doni a la gran Diva offerti;
non più di fiamme d’òr lucenti e chiari,
ma son di fredde ceneri coverti.
Da’ simulacri venerati e cari
omai non pendon più corone o serti.
Lasciando d’onorar più Citherea,
sacrifica ciascuno a questa Dea.

14.Crede ciascun, che stupido s’affisa
di que’ begli occhi ai luminosi rai,
novo germe di stelle in nova guisa
veder, non più quaggiù veduto mai;
e da la terra, e non dal mar s’avisa
esser più degna e più gentile assai
pullulata altra Venere novella,
casta però, modesta, e verginella.