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Giorno e notte, la Badia russava satolla, in una soave placidezza benedetta dal Signore, effondendo per tutta la contrada il buon odore delle virtù cristiane. Infatti, nelle cucine, le grasse pernici, religiosamente infarcite di tartufi, esalavano di continuo la profumata anima loro dalle sante ferite del loro martirio.
Ma che potrò dirvi della divina atmosfera stagnante nel refettorio tranquillo, le cui finestre respiravano la molle beatitudine degli orti?... Vi era effuso un silenzio delizioso, tessuto dal dolce ronzio delle preghiere che mormoravano insieme le marmitte crogiolanti sui fornelli e le labbra dei frati, inzuccherate di santità.
E fu in quel refettorio, che il santo priore Gozzoviglia, sprofondato in una gran poltrona, mise in movimento, al suono delle campane di Natale, le sue instancabili ganasce. Il gran pondo della pancia enorme e di un’accidia invincibile lo teneva immoto come un’oca dalle zampe inchiodate...
Abati, preti e monaci si affrettarono allora a crocifiggere lungo le pareti le nere sottane e le cocolle sinistre, per servire il gran prelato. Si diedero a correre tutti pei lunghi corridoi, uno dietro all’altro, scamiciati e ansanti, come per un salvataggio o per un incendio, portando alti, con gesti da giocolieri, grandi piatti colmi di ghiottonerie!...
Gozzoviglia, a pancia all’aria come un grosso maiale color di rosa, protendeva ora a destra ora a sinistra il suo grugno grinzoso sorretto dai festoni di una quadruplice pappagorgia, e le pietanze prelibate svanivano come miraggi nei deserti sconfi-
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