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da giardini minuscoli. Poi, boschetti di palme si profilarono sull’orizzonte albeggiante.
Alba triste, stanca e disillusa. Sulla campagna fosca era effuso un silenzio di morte. Lentamente il cielo si striava d’argento verdognolo. Oltre i campi coltivati, l’ondulazione delle sabbie si coloriva delicatamente di viola alle carezze della luna declinante. Una luna calda e molle, color di ruggine gialla, calava, come una goccia d’oro, verso il mare lontano.
Piantagioni di banani soffocarono la strada e ci sentimmo deliziosamente bagnati dalla freschezza profumante dei verzieri.
Una tenda di beduini frastagliò il pallore del cielo, apparendo in lontananza, simile ad un enorme vampiro dalle ali membranacee spiegate e inchiodate a terra.
Con curiosità, io studiai la bizzarra geometria delle sue tele rappezzate, delle sue balzane arlecchinesche d’ocra sporca e di ruggine, che si arrotondavano al vento del deserto come vecchie carene.
Davanti all’apertura della tenda, una piccola siepe di rami e di pezzi di latta, e alcune capre d’una magrezza schifosa, che trascinavano mammelle flosce e prolisse.
Un cane rognoso, scorticato, scheletrico, ci corse incontro rabbiosamente...
Quella era la tenda di Abdul el Ragel, fratello di Mohamed.
— Saldi Abdul! — gridò la nostra guida.
— Saidiya Mohamed! — rispose una voce dall’interno.
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