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Mia madre, che fu tutta una poesia delicatissima e musicale di tenerezza e lagrime affettuose, era milanese. Pure essendo nato ad Alessandria d’Egitto, io mi sento legato alla foresta di camini di Milano e al suo vecchio Duomo.
O Duomo di Milano! Io ti ho spaventato
sfiorando con la mia ala di gabbiano
I tuoi scoscendimenti mostruosi
di secolare scogliera...
Io sono, dici, un milanese che va troppo in fretta.
È infatti la tua tenerezza sbigottita
che colora di giallo e di rosso e di nero
e di verde e di bianco
la pelle trasparente delle tue vetrate camaleontiche.
Sono io che t’irrito, ogni sera, lanciando
la palla del mio cuore più in alto
della tua madonnina dorata!
O piovra smisurata dai tentacoli bianchi,
tu tremi al sentir stringere intorno a te
la vastissima rete delle rotaie scintillanti
con tutti i loro tramvai, anelli multicolori
che la sera s’adomano
d’alghe verdi e di coralli...
Tu piangi sulla tua sorte,
cattedrale arenata in mezzo al chiasso tumultuoso
della più grande stazione del mondo?...
Ah! Ah! Verrà il giorno
— i milanesi ne sono capaci! —
in cui si potrà costruire un treno colossale,
tratto da una gigantesca locomotiva,
per riportarti in paradiso,
d’onde tu fosti spedita, in altri tempi,
dai Fratelli Gondrand!...
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